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L'anima di Federico nello studiolo di Gubbio

Ultimo Aggiornamento: 14/08/2017 18:30
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14/08/2017 18:28
 
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Lo Studiolo di Federico fu concepito a cavallo tra il VII e l’ VIII decennio del Quattrocento. Non fu il primo studiolo ad essere decorato con i simboli del sapere e con ritratti di uomini saggi, ma nacque per distinguersi da tutti gli altri.

Da sempre gli studioli costituirono un luogo di raccoglimento, di studio e di meditazione. Nel Rinascimento si trasformarono per lo più in sale fastose, raffinate, piene di richiami al mondo classico e ricche di pezzi di bravura delle varie arti. Tra gli studioli più noti ricordiamo quello di Leonello d’Este a Ferrara, ricco di intagli e intarsi realizzati dai migliori legnaioli padani, quadri di Van der Weiden e medaglie di Pisanello. In Toscana, invece, lo Studiolo di Piero de’ Medici, prototipi della wunderkammer cinque-secentesca, dove Piero era solito ritirarsi per cercare sollievo ai dolori della gotta.

Per lo Studiolo di Urbino si pensò ad una sorta di specchio in cui riflettere ed esaltare la figura di Federico, nonché le sue avventurose e fortunate vicende.

Non è escluso che lo Studiolo venisse talora utilizzato dal duca Federico nella sua dimensione più naturale, cioè come ambiente di studio, ma questo luogo così avvolgente era per lui prima di tutto un luogo di riflessione, di sosta e di meditazione. [SM=x4889392]
14/08/2017 18:29
 
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Lo studiolo di Gubbio è dal 1939 nel Metropolitan Museum di New York e proprio per questo motivo il Palazzo Ducale di Gubbio è chiamato da alcuni, con ironia un po' amara, un contenitore senza contenuto. Sono tante le opere d'arte italiane emigrate all'estero per denaro, furto più o meno regolarizzato, sottrazione manu militari, incuria di chi doveva proteggerle e così via per secoli. Interi musei americani dall'Atlantico al Pacifico, passando anche per il Texas, sono nati da un singolare ossimoro: l'avidità generosa di magnati dell'industria e della finanza ben consigliati da grandi critici d'arte, esperti anche nel tessere le relazioni giuste con i possessori italiani, ecclesiastici o laici che fossero. Ma la storia dello studiolo di Gubbio, a suo modo, è una storia a parziale lieto fine, come racconterò qui di seguito: per questo credo che sia oggi un bel momento a nostra disposizione, se vogliamo, anche se fisicamente è così lontano.

Ad Urbino c'è lo studiolo che tutti conoscono, perché costituisce una delle maggiori attrazioni nella visita al Palazzo Ducale. Questo studiolo fu realizzato alcuni anni prima dello studiolo di Gubbio, che non costituisce comunque una sottospecie, un dépendance di Urbino.
Federico da Montefeltro a Gubbio fu sempre molto legato, anzitutto perché c'era nato nel 1422, figlio naturale di Guidantonio di Montefeltro. L'erede legittimo era il suo fratellastro Oddantonio che aveva qualche anno meno di lui e che fu ucciso nel 1444 in una oscura congiura forse con l'ispirazione di Federico, che così si trovò a reggere lo stato, e ne fu signore per trentotto anni, fino alla sua morte nel 1482. Al 1474 risale il titolo ducale, conferitogli dal papa, e che compare nello stemma personale di Federico rappresentato in una tarsia dello studiolo di Gubbio.
Lo stemma ci dà informazioni interessanti sulla personalità di Federico. C'è uno scudo sormontato da una corona ed affiancato dalle iniziali FE DUX, il tutto circondato da una ghirlanda di foglie di quercia. C'è poi una composizione di strisce in diagonale, alternativamente dorate e blu, con una piccola aquila nera nel “punto d'onore” (in alto a destra) significante l'investitura, avvenuta nel 1228, dei conti di Montefeltro da parte del Sacro Romano Impero. Lo scudo è inquartato da una grande aquila nera incoronata in campo d'oro (è la città di Urbino), e la striscia verticale centrale porta le insegne di Federico come difensore della Chiesa: le chiavi di San Pietro sormontate dalla triplice tiara papale. Federico era uno spregiudicato capitano di ventura che traeva la sua legittimità dall'antico riconoscimento alla famiglia, dalla centralità di Urbino nel suo dominio, e dal continuo riferimento alla Chiesa di Roma, pur nell'alternarsi delle alleanze. A cui si aggiunge, ed è per noi l'aspetto più importante, la splendida politica culturale, in cui coinvolse grandi artisti e che si svolse principalmente ad Urbino, ma anche in diversi centri minori, fra cui Gubbio, che costituiva una specie di capitale meridionale del suo piccolo stato.

Fra lo studiolo di Urbino e quello di Gubbio non c'è differenza nel livello artistico, ma nell'atteggiamento del committente: ad Urbino prevale l'esibizione verso l'esterno, i nobili visitatori, i grandi intellettuali, a Gubbio le rappresentazioni riguardano tutte le qualità, le virtù di Federico: condottiero, governante, umanista. E' come se, giunto alla fine della sua vita, Federico volesse tirare le somme di ciò che aveva fatto, ispirato dal mito della gloria, fondamentale nel Rinascimento. Una gloria esplicitata con più sottigliezza e profondità rispetto a quello che aveva fatto il suo rivale di tanti anni, Sigismondo Malatesta a Rimini nel Tempio Malatestiano, che difatti suscitò la fatale indignazione del papa Pio II.

Quindi, il programma decorativo dello studiolo di Gubbio è il perseguimento di interessi e di virtù umanistiche. C'è una iscrizione in latino nel fregio che corre in alto lungo tutti i lati dello studiolo. Tradotta, dice così: “Guardate come gli eterni studenti della venerabile madre, uomini eminenti per cultura e genio, si inchinano con collo nudo e ginocchia piegate davanti all'immagine della loro madre. La loro reverenda pietà prevale sulla giustizia e non si pentono per aver ceduto alla loro madre adottiva”. Qualcuno asserisce che questa veneranda madre sia la matematica, e non è certo una forzatura, vista l'alto considerazione che Federico aveva per le arti liberali, ma specialmente per la matematica e la geometria. Scrisse che la matematica e la geometria, essendo basate su verità scientifiche, sono “le più importanti delle arti liberali, perché costituiscono il vero fondamento della architettura”. Per la cultura di Urbino il termine di “umanesimo matematico” è notoriamente il più appropriato, e ciò si riflette anche nei dettagli dello studiolo di Gubbio.



In uno degli scomparti, si vedono alcuni oggetti: un pendolo (noi diremmo un filo a piombo) ed una squadra appesi ad un piolo, un compasso ed una cetra appoggiati su un libro, una clessidra. Non è un accostamento casuale, tutti gli oggetti hanno a che fare con le misure e le proporzioni. Il pendolo, la squadra ed il compasso erano strumenti correntemente usati dagli architetti. La musica si basava sulla antica teoria degli intervalli di Pitagora, c'è quindi una allusione alle proporzioni armoniche. Sulla clessidra venivano riportati i segni delle ore, e la distanza fra un segno e l'altro non era identica, era in funzione delle decrescenti dimensioni della clessidra. Persino il libro sotto il compasso e la cetra acquista un senso: potrebbe essere una metafora della conoscenza matematica, intesa come fondamento per lo sviluppo delle arti liberali.
Tutto viene espresso senza clamori esibizionistici, ma in modo sussurrato, perché solo chi sa può capire. Ciò è coerente col fatto che siamo in uno studiolo, non in una sala del trono, non in una chiesa; lo studiolo era rivolto ad affari privati, a studio personale e ad incontri con personalità selezionate sulla base del rango e della cultura

La finezza intellettuale con cui i concetti divengono rappresentazione la si nota anche negli stemmi personali di Federico, quelli che alludono alle sue virtù ed alle sue aspirazioni.
C'è uno struzzo che tiene nel becco una punta di lancia ed una scritta (in tedesco) che dice: “Posso inghiottire un grande ferro”. La resistenza alle avversità, quindi, virtù fondamentale di Federico, che riuscì a governare per trentotto anni avendo rapporti spesso difficili con Roma, Napoli, Firenze, Venezia e Milano, oltre che con i signorotti dell'Italia centrale.
Un ermellino circondato dal fango ed una scritta (in italiano) NO MAI. Si diceva dell'ermellino che preferisse morire piuttosto che macchiare la sua pelliccia bianca. E' quindi un simbolo di innocenza e di purezza, smentito da tanti fatti della vita di Federico: l'anomala ascesa al potere, i frequenti cambiamenti di schieramento durante le croniche guerricciole, il saccheggio di Volterra da lui tollerato se non voluto nel 1472, e forse, come si è affermato di recente, la sua partecipazione alla congiura dei Pazzi contro Lorenzo e Giuliano de' Medici. Ma, come dirà poi il Macchiavelli, un principe per durare deve parer buono, e Federico ci riuscì, con l'ottimo governo e con la sua politica culturale, intelligente e convinta.
La gru, con la zampa in su e con una pietra serrata negli artigli, allude alla virtù della vigilanza, specie come comandante militare, qualità a lui universalmente riconosciuta.

Poi ci sono le lingue di fuoco combinate col monogramma fd scritto in caratteri gotici. Significano fiamme d'amore, ed erano state adottate come livrea da un gruppo di giovani veneziani che si definivano “Gli infiammati”. Federico divenne membro di questo gruppo durante la sua permanenza giovanile a Venezia. Forse c'è un raccordo di questo simbolo con una delle tarsie più belle dello studiolo di Gubbio: quella in cui è rappresentato un pappagallo con le ali verdi ed il becco rosso in una gabbia che contiene anche una scatola di semi. Si è detto che il pappagallo era una specie di status symbol, perché solo papi, re e principi potevano permettersi i costi esorbitanti di questi uccelli esotici. Va aggiunto che il pappagallo in gabbia era anche un simbolo morale: significava la lussuria domata. Immaginiamoci i pensieri di Federico nel passare dalla tarsia con le fiamme d'amore alla tarsia con il pappagallo in gabbia, naturalmente costruita anch'essa da un architetto, con la sua bella struttura ottagonale.

Non manca una decorazione di cui Federico era molto fiero: l'Ordine della Giarrettiera. Federico era membro del prestigioso ordine inglese e le insegne dell'ordine gli furono consegnate dall'ambasciatore inglese in una solenne cerimonia tenutasi alla abbazia di Grottaferrata, vicino a Roma.

Forse le tarsie più belle sono quelle che alludono a due grandi passioni di Federico: l'arte militare e la musica.

La sua personalità di signore feudale e di comandante militare è mostrata dai cinque pezzi di armatura che compaiono in una tarsia: un paio di gambali (parastinchi), un paio di speroni, una mazza, un paio di guanti di ferro, ed un elmo con l'aquila dei Montefeltro. Tutto richiama il cerimoniale ed i tornei di corte. Proprio in uno di questi tornei Federico rimase sfregiato, perdendo un occhio; è per questo che nelle opere di Piero della Francesca e di Pedro Berruguete Federico è sempre rappresentato di profilo, con lo sguardo rivolto a sinistra.

Per la musica, c'è la tarsia con l'organo portatile rappresentato in trompe l'oeil come se fosse fuori dallo scomparto, mentre nello scomparto c'è un violino. Ma in altre tarsie cornetti, ribeca, tamburelli, corni da caccia, arpa, liuto, pifferi, anelli tintinnanti. Uno dei primi biografi scrisse che Federico si deliziava grandemente della musica e manteneva a sue spese un coro musicale con musicisti esperti e cantori. Sembra che preferisse i suoni delicati a quelli forti.

“Stat sua cuique dies; breve et inreparabile tempus
Omnibus est vitae: sed famam extendere factis,
Hoc virtutis opus.”

“Fisso a ciascuno il suo giorno, breve e irrevocabile il tempo
Della vita per tutti: gloria allargar con le azioni,
questo ottiene virtù.”

E' come se in quelle parole sul leggio ci fosse l'ultimo stemma di Federico da Montefeltro.

14/08/2017 18:30
 
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Lo Studiolo è, per l'uomo del Rinascimento, la stanza più importante della dimora, lo spazio segreto dove, finite le attività giornaliere, si ritira per avvicinarsi alle arti liberali e accrescere le proprie virtù.
In un'epoca attraversata da guerre e conflitti interni, il precario equilibrio politico favorisce l'individualismo e anche la crescita di grandi personalità nel campo delle arti e delle scienze.
Una folta schiera di studiosi e artisti, incoraggiati da principi illuminati che si ergono a loro protettori, diviene il motore di un rinnovamento artistico e intellettuale che coinvolge tutti i principati d'Italia, in competizione luno con l'altro.
Se la corte e il palazzo rappresentano il potere del principe e del dominio sulle cose terrene, lo studiolo, cuore della sua dimora, rappresenta il tentativo di appropriarsi anche della dimensione spirituale. Lo Studiolo è, nella sostanza, rappresentazione visibile, ma non tangibile, dell'anima di Federico da Montefeltro e ogni scansia mostra all'osservatore una tessera della sua humanitas, non più dispersa, ma colta nell'interezza che il luogo, situato in una terra di mezzo sospesa tra immanente e trascendente, ha contribuito a ricostituire.
Il verbum dimissum ritorna ad essere parola viva e illumina la realtà allo stesso modo della luce del sole che si spande sulle tarsìe dello Studiolo, nel Palazzo Ducale di Gubbio.
www.danae.it



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